Genova, domenica 27 febbraio 1949. Allo stadio Marassi 55.000 spettatori trattengono il fiato: la partita tra Italia e Portogallo è sullo 0-0 e il portiere Valerio Bacigalupo deve respingere una punizione avversaria. Le due nazionali sono scese in campo alle 15 in una giornata dal tempo alterno, i portoghesi in maglia rosso cupo, gli italiani in azzurro e calzoncini bianchi, anche se, gratta gratta, è il color granata quello che brilla sotto le loro maglie.
Degli undici titolari, infatti, sette giocano con il Torino: Ballarin, Maroso, Castigliano, Menti, Loik, il capitano Valentino Mazzola e il portiere, Valerio Bacigalupo. Ha 25 anni e viene da una famiglia ligure di calciatori. Al Torino è arrivato quattro anni fa grazie al presidente Ferruccio Novo, che lo ha notato durante una partita con il Genova, e lo ha acquistato per 80mila lire dal Savona.
Per imporsi in nazionale, Bacigalupo ha faticato molto, e ha patito una tristezza speciale l’11 maggio 1947, quando l’Italia con dieci granata ha sconfitto l’Ungheria, lui l’unico escluso dei titolari del Torino, a vantaggio di Lucidio Sentimenti, portiere della Juventus. Poi quello stesso anno si è preso la nazionale.
Da allora Bacigalupo difende i pali dell’Italia con il suo stile un po’ teatrale, ma sempre perfetto nelle parate alte come in quelle a terra, e lo fa anche adesso, ma la punizione, che respinge sulla sinistra, capita proprio sul piede di Lourenco il quale, essendo libero e ben piazzato, scaraventa facilmente in rete. Doccia fredda. E volti scuri fino alla fine del primo tempo. Ma al ritorno in campo l’Italia segna 4 gol e chiude in trionfo.
Chi ha assistito all’incontro, ne esce pieno d’entusiasmo. Non sa di aver preso parte a una delle ultime partite di quell’Italia color granata. Due mesi dopo, il 4 maggio, l’intera squadra del Torino morirà nella tragedia di Superga. Quando ricomporranno i resti di Bacigalupo gli troveranno nel portafoglio una foto bruciacchiata di Sentimenti, di cui lui era grande estimatore, con dedica augurale, testimonianza di un mondo dove il calcio serviva soprattutto a produrre sogni.